DISPERSAL / CORROBOREE

Serie di fotografie dipinte in acrilico nero, 2009

Dispersal – 3 fotografie e pittura acrilica in un unica cornice – 17×55 cm – 2009

Le fotografie scattate nell’800 agli aborigeni Australiani, da antropologi ed etnologi europei, sono diventate con il tempo un oggetto di disputa tra i discendenti delle stesse tribù aborigene e il governo Australiano. C’è infatti una tradizione molto antica che ordina di non rappresentare persone morte o di enunciare il loro nome. Le leggi tradizionali in tutta l’Australia indicano che ricordare il loro nome e immagine equivale ad una evocarne e disturbarne lo spirito. Per questa ragione, anni dopo l’invasione Europea, le comunità di nativi hanno ottenuto che le fotografie storiche (escluse quelle approvate dalle comunità) venissero rimosse dai musei e i libri che le contengono sono oggi disponibili solo per consultazioni in alcune grandi biblioteche selezionate.

Le fotografie spesso promuovono una visione del nativo vista con gli occhi del colonizzatore occidentale. Se gran parte delle foto presenti negli archivi li ritrae in studio con abiti tradizionali ed in pose costruite secondo un gusto esotico, in altri casi rappresentano anche la violenza della repressione e dello schiavismo, inquadrando gruppi di guerrieri aborigeni incatenati tra loro con i genitali coperti da stracci. In questi ultimi casi è spesso presente anche l’autore della cattura che a differenza degli aborigeni viene raffigurato in piedi, spesso imbracciando il fucile. Una composizione che si avvicina tristemente a quelle tipiche della caccia o dei safari, dove le prede appaiono soggiogate dalla forza soverchiante delle armi da fuoco dei cacciatori bianchi.

In seguito a queste riflessioni e a una lunga ricerca compiuta sul campo in Australia, e durata un anno intero, sono state raccolte una serie di foto “proibite”. Queste sono state fotografate nuovamente e ristampate per poi nascondere, attraverso la stesura di uno strato compatto di acrilico nero, il corpo nei nativi. In questo modo si vuole rispettare le credenze tradizionali legate alla rappresentazione degli antenati e, allo stesso tempo, conservare la testimonianza delle azioni ingiuste compiute dalla forze occidentali. La pittura infatti lascia visibili alcuni dettagli delle foto: le catene, gli stracci utilizzati per nascondere le sconvenienti nudità dei soggetti, e anche i carnefici che sono quindi ben visibili, con i loro sguardi sprezzanti.

Dispersal (William Henry Willshire and his native police) – 5 fotografie e pittura acrilica in un unica cornice
22×75,5 cm – 2009

L’ufficiale di polizia William Henry Willshire è stato a capo della polizia “indigena” dal 1883 al 1891. Un gruppo di aborigeni addestrati e raggruppati per controllare meglio l’area di Alice Springs. Questa truppa agì brutalmente contro la comunità aborigena e si rese responsabile di oltre 13 delitti. Willshire credeva fermamente nella “dispersione dei nativi” ovvero nella loro obliterazione totale. Nel 1891 fu il primo poliziotto imputato a processo in seguito a un duplice omicidio compiuto dopo aver sorpreso un gruppo di nativi addormentati. Il processo sollevò controversie e proteste e il poliziotto fu assolto, perdendo comunque il suo ruolo e venendo ricollocato nel 1893 nel distretto del fiume Victoria. Nel 1895 per paura di ulteriori dispute venne spostato definitivamente ad Adelaide dove ha rassegnato le sue dimissioni definitive nel 1908.

Dispersal – 2 fotografie e pittura acrilica in un unica cornice – 17×38,5 cm – 2009

Al processo Willshire testimoniò Francis James Gillen, un antropologo ed etnologo australiano, famoso per il suo lavoro di documentazione compiuto in collaborazione con Walter Baldwin Spencer. Gillen, che aveva gestito la stazione del telegrafo di Charlotte Waters dal 1975 al 1992 per poi essere destinato a quella di Alice Springs, aveva costruito, anche grazie alla sua partecipazione al processo, un raro rapporto di fiducia con le comunità native locali. Una posizione privilegiata per un occidentale che gli garantì la possibilità di documentare insieme a Spencer l’Engwura festival, una serie di cerimonie segrete compiute dagli uomini della tribù Arrente nel 1896. Le foto e i video prodotti sono stati poi pubblicati nel libro The Native Tribes of Central Australia (1899), un testo che ha avuto una grande influenza sugli antropologi impegnati nello studio della cultura antica Australiana. La collaborazione fruttuosa tra i due antropologi continuò anche negli anni successivi e dopo una spedizione nel golfo di Carpentaria portò alla pubblicazione di un secondo volume fondamentale The Northern Tribes of Central Australia (1904).

Corroboree – 3 fotografie e pittura acrilica in un unica cornice – 17×55 cm – 2009

Le fotografie dipinte raccolte nella serie intitolata Corroboree proseguono nel processo di cancellazione delle identità aborigene mantenendo visibili i segni fisici delle cerimonie e dei rituali. Alcune immagini sono dedicate alla scarificazione, un rituale di passaggio che consiste nell’incisione e cicatrizzazione della pelle. Gli uomini sottoposti a queste pratiche portavano sul corpo i segni della loro maturazione e del loro coraggio. Altre immagini invece si concentrano sulle pitture corporali che, isolate nel nero, ricordano le rappresentazioni aborigene degli animali totemici. A differenza delle fotografie appartenenti alla serie Dispersal queste immagini raccontano la vitalità misterica delle culture ancestrali Australiane, che vedono nella pelle una superficie “parlante”, un mezzo per definire i rapporti tra individui e preservare le storie della genesi. Immagini gioiose a discapito del nero luttuoso dello sfondo.

Corroboree – fotografia e pittura acrilica in un unica cornice – 17×22 cm – 2009
Corroboree – fotografia e pittura acrilica in un unica cornice – 17×22 cm – 2009
Corroboree (Scarification) – fotografia e pittura acrilica in un unica cornice – 17×22 cm – 2009
Corroboree (scarification) – fotografia e pittura acrilica in un unica cornice – 17×22 cm – 2009
Corroboree – fotografia e pittura acrilica in un unica cornice – 17×22 cm – 2009
Corroboree – fotografia e pittura acrilica in un unica cornice – 17×22 cm – 2009
Corroboree – fotografia e pittura acrilica in un unica cornice – 17×22 cm – 2009

English text

The photographs took in 1800 to Australian aboriginals, from European anthropologists and ethnologist, became subject of disputes between the heirs of the same tribes and the Australian government. As a matter of fact there is an ancient tradition that dictates to avoid depicting deceased people or to voice their names. Traditional law across Australia said that a dead person’s name could not be said because you would recall and disturb their spirit. After the invasion this law was adapted to images as well.

The photographs are often promoting a western colonizer’s point of view on natives. Most of the photos collected in the Australian archives portray them in studio an exotic style, posing wearing traditional clothes; but there are photos that depict the violence of repression and slavery, where groups of aboriginals warriors are chained to each other covering their genitalia with small rags. In those cases is also portrayed the person responsible for their arrest, standing next to the prisoners, often holding a rifle. A composition that is sadly close to those typical of hunting, where the preys seem dominated by the overwhelming force of the white hunters’s firearms.

Following this year long research in libraries across Australia, I collected a series of “forbidden” photos. Then I took pictures of them and printed again, to eventually hide, through a layer of thick black acrylic paint, the natives’s body and face. Thus respecting the traditional systems of beliefs in portraying ancestors and, at the same time, keeping the proof of the unfair actions of the western forces. The paint is indeed leaving uncovered few details of the original photos: the chains, the rags, and also the oppressors with their contemptuous glance.

Police officer William Henry Willshire was in charge of the native police since 1883 to 1891. A group of aborigines trained and put together to better control the Alice Springs area. This troop operated ruthlessly against the Aborigines and was responsible of more than a dozen murders. Willshire believed strongly in ‘dispersing the natives’ which meant shooting them. In 1891 was the first policeman charged with murder, after attacking a group of sleeping Aboriginal people camped at Tempe Downs Station, and killing two. The case was highly controversial, and Willshire was acquitted. After the trial, Willshire was transferred to the Victoria River district in 1893 but was permanently removed from the position in 1895 for fear of further controversies and returned to Adelaide, where he resigned in 1908.

The incident was investigated by the then Sub-protector of Aborigines Francis James Gillen, an Australian anthropologist and ethnologist, famous for his work of research in collaboration with Walter Baldwin Spencer. Gillen, stationed at Charlotte Waters telegraph station from 1875 to 1892 to be later allocated in Alice Springs. He had built a rare relationship of trust with local native communities. A privileged positions for a western person, that allowed him to witness and record, together with Spencer, the Engwura festival – a series of public and restricted ceremonies performed by Arrernte people men in 1896. Those precious photographs and films were the base of their book The Native Tribes of Central Australia (1899), a written work that was highly influential for antrophologists of their times. The fecund collaboration continued in the following years and after a new expedition to the Gulf of Carpentaria they published The Northern Tribes of Central Australia (1904).

The painted photographs collected in the Corroboree series carry on the cancellation process of Aboriginal identities, keeping the visible physical signs of ceremonies and rituals. Some of those images are showing the scarification, a
rite of passage consisting in the incision and scarring of the skin. The young men undergoing those practices were wearing the signs of their bravery and growth. By contrast other photos are showing the body paintings that, isolated in black paint, recalled the aboriginal drawings of totemic animals. Unlike the pictures in the Dispersal Series, those images are telling the story of the mysterious vitality of Australian vestigial cultures, that use the skin as a “talking” surface, a means to define the relationship between individuals and to protect the Genesis stories. joyful photos despite the mournful black background.